‘Tanto è tutto Marketing’. Sfatiamo il mito?

Quante volte abbiamo sentito dire, per giustificare un’eco eccessiva legata a un evento, un prodotto, una pubblicità, “tanto è tutto marketing”, magari con tono di spregio e, perché no, di imbronciata rassegnazione? Alzi la mano chi non si è mai trovato in questa situazione nei suoi discorsi da bar!

Noi oggi vogliamo provare a sfatare il mito: un po’ perché, in fondo, è anche parte del nostro lavoro (il marketing intendiamo, non smontare le leggende!), un po’ perché è arrivata ora di fare chiarezza e di smetterla di vedere il male in questa disciplina che, in realtà, tanto malvagia non è.

Nel bene e nel male: ne siamo sicuri?

L’altra grande frase, spesso citata a sproposito, è “bene o male, l’importante è che se ne parli”. Ma siamo davvero sicuri che sia così? Davvero si pensa che guadagnare la notorietà, in negativo per di più, sia meglio di un investimento nella propria reputazione? Questa regola, semplicemente, non può funzionare (per tutto). Ci sono casi e casi, ovviamente: ci sono Brand che possono permettersi di aprire un dibattito attraverso una provocazione, ma deve trattarsi di una natura insita nel codice stesso della vision aziendale. Per la maggior parte delle aziende, quella di far “parlare male” pur di attirare l’attenzione pare piuttosto una mossa azzardata, una strategia da catalogare davvero come ultima spiaggia (con mareggiata a seguire). Se nessuna buona idea ha fatto il miracolo nel lanciare definitivamente un prodotto o un servizio, come può farlo una “brutta” pubblicità?

Peccato che lo stesso “marketing” non goda proprio di un’ottima reputazione.

Innanzitutto, come molti esperti sottolineano, il marketing non è illusione, non è “vendere bugie”. Il vero marketing è customer oriented o, per usare parole meno fighe e che suonino meno “fuffa” (altra parola che spesso troviamo in coppia con la nostra disciplina), il marketing è orientato al cliente. Non parliamo forse di target, di mercato, di buyer personas? Come sottolineano molti luminari, il marketing non è fatto per aiutare a vendere: il marketing piuttosto deve guidare all’acquisto. Si tratta di una bella inversione di paradigma: lo scopo diventa far sapere alla persona giusta, nel momento giusto (e questo, oggi, è diventato ancor più vero) che esiste una soluzione alle sue necessità, un servizio/prodotto che saprà soddisfare i suoi bisogni.

E qui veniamo all’altro grande falso mito: il marketing “crea bisogni”. Già, peccato che i bisogni siano insiti nella stessa natura umana. Mai sentito parlare della piramide di Maslow?
Il marketing ci aiuta piuttosto a comprendere chi è il nostro potenziale cliente, e ad indirizzare la realizzazione di questi bisogni, e quindi il suo desiderio, verso il prodotto A, B o C (e tutto senza obbligare nessuno con la pistola alla tempia).

Però diciamolo: se questa è l’idea diffusa, è perché forse, un pochino, ce lo siamo meritati. Per tanto tempo, ai tempi dell’outbound marketing, abbiamo massacrato papabili acquirenti con telefonate, spot pubblicitari, claim strillati per ore e ore. E forse anche adesso stiamo abusando della nostra posizione: un po’ tutti noi utenti ci stiamo abituando ad essere perseguitati dalle nostre stesse abitudini quando, aprendo la bacheca di Facebook o di Instagram, ci ritroviamo bombardati di messaggi pubblicitari che si appellano ai nostri più disparati interessi. Una via etica, però, esiste. Sta a noi del mestiere intraprenderla con serietà, ricordandoci che “il nostro lavoro di marketing è di capire cosa vuole comprare il cliente e aiutare a farlo” (Bryan Eisenberg).